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Kintsugi. Le Cicatrici d'oro

E’ un bel giorno di sole, voglio uscire per una passeggiata, ma sono distratta, ed ecco che con la borsetta urto quel vaso di ceramica che amo tanto, cade, si rompe. Una bella giornata rovinata, decido di non uscire più, mi arrabbio, mi dispero ed, infine, con delusione e rassegnazione, raccolgo i cocci e li butto nella spazzatura.

Un vaso prezioso distrutto per sempre.



In Giappone, quando un vaso si rompe non si butta, esiste un’arte, lo Kintsugi, quel vaso lo si ripara e lo si ripara con l’oro. Perchè quell’oggetto con le sue nuove fratture ricoperte d’oro sarà ancora più unico e prezioso di quanto non lo fosse prima.

Oltre ad essere un’arte, lo Kintsugi è una filosofia di vita, l’oggetto in ceramica rappresenta il corpo, la rottura qualsiasi dolore che opprime il corpo e la mente.

Per i giapponesi, il dolore non rappresenta un sentimento vergognoso da nascondere, così come l’imperfezione estetica non è un elemento capace di rovinare l’armonia della figura; le crepe dell’oggetto rotto non vanno nascoste, ma valorizzate, esattamente come le cicatrici, i difetti fisici e le ferite dell’anima non vanno nascoste ma esibite senza paura ed imbarazzo.

Una filosofia lontana da quella della società occidentale, nella quale la sofferenza è considerata un sentimento di cui vergognarsi, anziché un modo per comprendersi e reinventarsi, e i difetti fisici sono camuffati, invece che valorizzati in quanto elementi di fascino e di unicità.


Il Kintsugi, attraverso l’arte di riparare con l’oro, ci dimostra che da una ferita rimarginata può rinascere una forma di bellezza e di perfezione superiore, e i segni impressi dalla vita sulla nostra pelle e nella nostra mente hanno un valore inestimabile e un significato importante, e che è da essi, dalla loro accettazione che prendono il via i processi di rinascita interiore che ci rendono delle persone nuove.



Nel nostro progetto “Le cicatrici d’oro” abbiamo voluto esprimere la forza della donna, un essere fragile, ma forte, unico e prezioso come un’opera d’arte, ognuna con la sua cicatrice e la sua rinascita.

Cinque donne si sono raccontate, i loro traumi, le loro ferite, i loro modi di affrontarli e sconfiggerli.

Per rinascere più forti di prima.
















Eleonora

La cicatrice che indosso porta il nome di mia figlia:

Cora India, "amore e coraggio".



Un concentrato di inizio e di fine, di qualcuno che nasce e di qualcosa che muore.

Un matrimonio che finisce proprio quando tu, piccola mia, sei dentro di me e noi due, da sole, ci siamo tenute strette strette per la prima volta in una sala operatoria, prima ancora di nascere hai dovuto lottare per la vita. La prima cicatrice per la tua operazione e, la tua forza è stata la mia. Quel sogno di grande famiglia che si spezza e l’abbandono di tuo padre non mi fanno più cosi male, perchè tu mi doni amore e coraggio, noi, insieme ai tuoi fratelli, siamo la vera forza.

Oggi sono una mamma felice ma sono anche una donna che inizialmente non ha vissuto bene “quei brutti segni” sul proprio corpo, perché erano già davvero grandi le cicatrici del cuore. Ho provato vergogna, senso di colpa e tristezza, perchè ero da sola a portare quel pancione.

Quando finalmente Cora India nasce, i nostri sguardi si trovano per non lasciarsi più. Con lei affronto il mio terzo taglio cesareo, solo due mesi e mezzo dopo l’intervento d’urgenza che ha creato la mia grande cicatrice.

Oggi che porto nel cuore e sulla pelle, l’inizio della vita dei miei tre figli, riesco a guardarmi consapevole della mia ricchezza e non vedo più “dei brutti segni”, memoria di dolori fisici e dell’anima, paura, fallimento, lacrime. No, io vedo il mio piccolo principe che con le sue manine lancia coriandoli nella mia vita; vedo la mia dolce fatina che non vola mai troppo lontana da me; e vedo la mia Cora India, che è ancora cosi piccola ma non sa quanto suono ha riportato in me, quanta musica ci regali in ogni momento del nostro viaggio, fatto di noi quattro, cosi complicato ma cosi immenso.

E oggi, quando mi guardo allo specchio, non vedo cicatrici sul mio corpo, e ringrazio perchè i miei bambini, oltre che averli dentro l’anima, io possa avere l’onore di indossarli.


Valentina

Le date segnano le ricorrenze di ognuno di noi e portano con sè gioie e dolori.


Il 27.01.15 il mio cuore si è fermato, in un solo secondo tutta la mia vita è stata resettata, i sogni, i progetti, la spensieratezza, tutto è stato sostituito da parole che, come macigni, si sono depositati dentro di me.

Un tumore al seno. E tutto cambia di significato.

Arrivano la chemio, la perdita di capelli, l’intervento, la radio e, ancora, una strada lunga da affrontare.

Insieme a me me il mio compagno, la sua mano che stringe la mia, i nostri occhi erano pieni di paura ma in quella stretta c’era racchiusa la forza di farcela di andare avanti, di non mollare, di non cadere.

Durante il percorso mille volte sono scivolata nel vortice del terrore e mille volte mi sono risollevata, indossavo il mio rossetto, l’unica cosa che riusciva a farmi sentire ancora una donna, perchè la chemioterapia aveva apportato grandi cambiamenti sul mio corpo ma con quel rossetto sul mio sorriso affrontavo la vita, quella stessa vita che mi ha spogliata, fatta in mille pezzi e ricostruita.

Oggi la vita ha un valore diverso, la scala delle mie priorità è cambiata, mi sento forte e spesso mi fermo ad osservare dentro di me e trattenere le lacrime è impossibile, ma sono fiera ed orgogliosa di me. La paura ad ogni controllo c’è sempre, ma quando prende il sopravvento sfoggio solo il mio sorriso più bello.


Francesca

Era il momento più bello della mia vita, mi guardavo allo specchio e vedevo il mio pancione crescere, sentivo il mio bimbo muoversi, cercavo di immaginare come sarebbe stato il suo viso, le sue manine, il suo sorriso. Ogni volta che mi guardavo vedevo tutto il mio corpo cambiare. Un giorno però cominciai ad intravedere un gonfiore sospetto alla base del collo, inizialmente non gli diedi peso, sembrava fosse li da sempre.

Con la nascita del mio bimbo la preoccupazione per quel gonfiore si dissolve.

Ma alla prima visita pediatrica del mio piccolo il dottore mi chiede di quel gonfiore ed ecco che da quell’istante la mia vita iniziò a prendere una piega diversa, la spensieratezza e la gioia si trasformarono in angoscia e paura quando mi consiglia una visita ecografica di urgenza. Il giorno dell’ecografia il dottore mi parlava, ma io sentivo solo gli occhi che si riempivano di lacrime e pian piano iniziavano a scendere lentamente sul mio viso, la testa mi scoppiava, la paura di perdere tutto iniziò ad assalirmi.

Dovetti iniziare a farmi forza per affrontare tutto, per la mia famiglia e per il mio piccolo appena nato, con la consapevolezza che sarebbe iniziato un nuovo percorso per me. Dovevo essere operata per asportare tutta la tiroide, ma qualcosa scattò in me, una forza nuova, mi sentivo diversa, non vedevo l’ora di affrontare l’operazione, di vincere sul male. La paura si era affievolita, l’angoscia era diminuita dovevo essere forte per me, per mio figlio, per mio marito. L’intervento andò bene mi venne asportata la tiroide e con essa il mio male…

Sono passati ancora mesi di paura e di lotta, ma oggi riguardo quella cicatrice che ogni tanto copro con vergogna, ma altre volte mostro con orgoglio, perchè mi ricorda quanto la vita sia un dono speciale da godersi giorno per giorno e lottare per ciò che ami.


Adele


Mi chiamo Adele, ho 33 anni e oggi sono mamma di 3 meravigliosi bambini.

Nella mia seconda gravidanza, lo stupore e la gioia sono state tante quando scopro di aspettare due gemelli.

Sono sempre stata una bella donna e tenevo molto alla mia presenza fisica, al momento della nascita i bimbi sono rimasti podalici e così ho dovuto subire un taglio cesareo. La ripresa è stata lunga e difficile, non riuscivo neanche a stare in piedi, i cuccioli stavano bene e mi davano la forza di sopportare i dolori. Quando, dopo giorni, finalmente riesco ad andare in bagno, la prima cosa che faccio è guardare la mia pancia. Vengo catapultata in un incubo, non potevo crederci, ero piena di smagliature, ma non erano loro a preoccuparmi quanto la notevole pelle in eccesso e la bruttissima cicatrice. Sono scoppiata a piangere.

Per anni sono stata male, non riuscivo ad accettare quel taglio che deturpava il mio corpo, evitavo di mettermi il costume, nessuno doveva vedere quanto fossi brutta.

Col passare del tempo ho imparato a convivere con questo aspetto di me, accettando piano piano il mio corpo e a piacermi. Da un paio d‘anni ho ripreso a prendermi cura di me e oltre a famiglia, figli, casa e lavoro, mi dedico allo sport. Sono rinata.

Tendenzialmente, ma oramai è più una abitudine, tendo a coprirmi pancia e cicatrice con le mani, ma senza dubbio, ora più che mai, quando mi sento osservata sono orgogliosa di dire che sono mamma di 3 gioielli. Ho imparato a fare di una debolezza la mia forza di vita.


Denise

Stavo andando a lavoro come tutte le mattine, avevo una gran fretta per un appuntamento in ufficio.

D’un tratto mi si annebbiano i ricordi, vedo solo il viso dell’infermiera al risveglio dal coma farmacologico in sala rianimazione.

Le mie cicatrici sono il risultato di un incidente d’auto, uno scontro frontale con un altro mezzo.

Le ferite sono state tante e tutte molto dolorose. Dopo l’assistenza medica in ospedale, a casa ho dovuto ricominciare tutto da capo, ero completamente dipendente dai miei cari. Il mio corpo era del tutto debilitato e impossibilitato nei movimenti, quei movimenti semplici che prima sembravano così immediati e scontati.

Se cerco di rispondere alla domanda su come l’ho affrontata, non so darmi una risposta, ho cercato di fare il massimo fin all’inizio per tornare pian piano a fare ciò che facevo prima. Ogni piccolo risultato che mi rendeva un pochino più autonoma, che mi permetteva di vedere oltre la finestra dell’ospedale, era una grande gioia.

Così dal letto sono riuscita a stare seduta, poi sono passata dalla sedia rotelle al girello, dal girello alle stampelle, e pian piano, ho ricominciato a camminare, a guidare, a lavorare, a riprendere in mano la mia vita.

Ovviamente non è più come prima, per motivi fisici le mie gambe non sono più quelle di una volta. Non sono ancora al 100% ma cerco continuamente di darmi dei piccoli obiettivi per sentirmi meglio a livello fisico, ma soprattutto per stare bene ed essere forte a livello psicologico.


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